Fonte: https://www.anvgd.it/17-marzo-1861-nelladriatico-orientale-cerano-gli-italiani-mancava-litalia/
Pubblichiamo articolo a cura di Lorenzo Salimbeni, ricercatore e storico, dedicato alla Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione e dell’Inno alla Bandiera. Ringraziamo l’autore per la gentile concessione.
Il 17 Marzo è dal 2012 la Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera: nel 2011 si trattò di una giornata di festa nazionale in occasione dei 150 anni dal giorno della nascita dello Stato unitario italiano, nelle forme del Regno d’Italia che avrebbe portato avanti il percorso risorgimentale di unificazione nazionale.
Nel 1861 quel 17 marzo Vittorio Emanuele II di Savoia fu proclamato Re d’Italia dal Parlamento del Regno di Sardegna, la Capitale si sarebbe poi spostata da Torino a Firenze e infine a Roma dopo la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870. Nel 1866 la Terza Guerra d’indipendenza avrebbe portato entro i confini del giovane Stato unitario anche il Veneto, che all’epoca comprendeva pure il Friuli, ma restavano sotto il dominio asburgico il Trentino, la Venezia Giulia, Fiume e la Dalmazia, regioni in cui la presenza italiana era significativa se non addirittura maggioritaria.
Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani: così sentenziò Massimo D’Azeglio, consapevole delle profonde spaccature sociali, economiche e culturali che attraversavano lo Stato sabaudo dopo il 1861, retaggio della precedente suddivisione in Stati regionali.
Nell’Adriatico orientale, invece, gli italiani già c’erano, mancava lo Stato italiano. C’erano gli italiani da quando Dante Alighieri inserì l’istrioto nella rassegna delle parlate italofone contenuta nel De Vulgari Eloquentia e pose i confini d’Italia «a Pola presso del Carnaro» nella Divina Commedia.
C’erano gli italiani nel 1848, allorché istriani e dalmati combatterono per la Repubblica di Venezia, sulla cui bandiera il leone marciano era rappresentato nel Tricolore verde-bianco-rosso.
C’erano gli italiani anche nel 1861, quando la Dieta istriana votò ripetutamente per inviare “Nessuno” al Parlamento di Vienna, dando l’esempio ai rappresentanti fiumani che ribadivano il proprio legame diretto e con Budapest e non volevano essere rappresentati al parlamento croato di Zagabria e alla classe dirigente dalmata che rivendicava le proprie autonomie di fronte al crescente nazionalismo croato.
Ci sarebbero poi stati gli italiani che avrebbero alimentato l’irredentismo fino alle centinaia di volontari che vissero la Prima guerra mondiale come una Quarta guerra d’indipendenza, disertarono l’imperial-regio esercito per combattere nel Regio Esercito e si sacrificarono nelle trincee e sul capestro austriaco se venivano fatti prigionieri e identificati come traditori: un nome su tutti, Nazario Sauro.
E anche dopo il martirio delle foibe e l’esodo che nel secondo dopoguerra travolse il 90% della plurisecolare comunità italiana autoctona, restarono italiani in Istria, a Fiume e in Dalmazia.
Ancor oggi associazioni, istituzioni culturali e scolastiche, testate giornalistiche e radiofoniche, un teatro di prosa e rappresentanti nei consessi elettivi attestano la persistenza dei connazionali nell’Adriatico orientale ed è a loro che le associazioni degli esuli si rivolgono per conservare e diffondere la storia della presenza italiana in Istria, Carnaro e Dalmazia.