Toh… adesso scopriamo che il nostro Paese, una formichina con meno di 60 milioni di abitanti, ha un posto nel mondo che non può essere ignorato. All’improvviso apprendiamo di essere dei qualificati maestri in tantissimi settori: artigianato, sartoria, architettura, arte, gioielleria, profumeria, cucina e persino bevande.
Le 4 “A” del made in Italy sono innegabili eccellenze: abbigliamento (e beni per la persona), arredamento (e articoli per la casa), automotive (inclusa la meccanica) e soprattutto agroalimentare. L’Italia, grazie all’Aeronautica militare, è tra le potenze mondiali, con Stati Uniti, Cina e India, nello sviluppo e ricerca dello spazio.
Scienziati, accademici e militari hanno consentito al nostro Paese di diventare il terzo al mondo a lanciare un satellite di propria progettazione, fin dal 1964, oltre a raggiungere significativi progressi nel settore con nuovi ambiziosi obiettivi per il futuro.
Nell’ambito della cosiddetta “space economy” Roma ha stabilito da tempo forti legami con gli Stati Uniti ed ha attivato partenariati con India e Giappone riuscendo ad integrare scienza, economia, sicurezza e difesa.
Queste qualità possono essere ignorate da Donald Trump, un politico che intende fare più grande l’America basandosi soprattutto sul rilancio dell’economia?
Il Presidente statunitense, considerato un uomo d’affari votato prevalentemente, se non esclusivamente, al profitto, può trascurare quanto ottenere da un alleato, certamente numericamente piccolo, ma tanto intraprendente, produttivo e ingegnoso?
Avere invitato al proprio giuramento in Campidoglio Giorgia Meloni, unico leader politico europeo, ha messo in allarme tanti oppositori, suoi e del Primo ministro italiano.
Più d’una voce, guarda caso proprio di quelle abitualmente risuonanti a Davos, è arrivata già a definire l’Italia “cavallo di Troia” dell’Europa, dando per scontato che il Presidente Usa abbia dato mandato a Giorgia Meloni di sabotare l’Unione europea in cambio di privilegi concessi al nostro Paese. È la stucchevole accusa di un’Italia, ventre molle d’Europa.
È comprensibile lo sconcerto (e anche il timore) di coloro che fino a ieri insultavano Trump e che oggi lo vedono determinato a realizzare quanto promesso ai suoi elettori. Lo “spoils system” dà la possibilità al Presidente Usa di sostituire i dirigenti dell’amministrazione pubblica licenziando quelli ritenuti inappropriati al proprio governo.
Le carriere e i privilegi di molti finiscono bruscamente. Da qui l’ansia e il timore che la “scure trampiana” s’abbatta ben oltre i confini degli Stati Uniti.
Mentre il cittadino europeo, l’uomo comune, non ha nulla da temere, per le élite occidentali ostili a Trump s’impone ora l’esigenza di serrare i ranghi ed evitare d’essere spazzate come foglie al vento.
In gioco ora ci sono, sì, politici, ma anche banchieri, finanzieri, imprenditori, uomini di cultura, intellettuali e giù giù tutto quel mondo che, a vari livelli, ha partecipato alla costruzione dell’Agenda 2030.
L’inversione del potere ora è a 180 gradi. Lo scontro è epocale. Il Great Reset non deve essere fermato, ma annientato.
Ce la farà Trump? Tra due anni l’aspettano le elezioni di metà mandato che, se vinte, consolideranno la sua azione politica; in caso contrario riprenderà vigore il progetto accarezzato da pochi illuminati desiderosi di regnare su popoli artatamente resi schiavi.
Tra gli obiettivi del nuovo Governo statunitense c’è la volontà di ridare forza e fiducia ad artigiani, operai, piccoli e medi imprenditori e a tutte quelle categorie produttive strozzate dagli interessi di pochi cinici attori del mondo finanziario.
I sostenitori di Trump sono gli stessi del Governo italiano: i ceti medi e produttivi.
Ancora una volta il cambiamento passa da costoro insieme alle Forze dell’Ordine che hanno scelto di proteggere il Paese. A tenere alto il prestigio italiano sono anche migliaia di militari che, in vari teatri del mondo, mantengono la pace rischiando la vita. Dopo gli Usa il più alto numero di soldati impiegato nelle operazioni Nato è quello italiano. Si tratta di un investimento importante di risorse economiche e ancor più umane. Anche alla luce di questo primato, consolidato da anni, ci sorge una domanda.
Il pragmatismo di Trump, un imprenditore avvezzo alla contrattazione, al “do ut des” (come viene descritto), può non essere stato determinante nella scelta di riservare al Primo ministro italiano un posto in prima fila il giorno del giuramento?
L’Italia d’oggi, a differenza di altri Paesi del Vecchio Continente non ha bisogno di patenti d’atlantismo, europeismo e occidentalismo.