Baggio, docente valtellinese, spega: i giovani sono meno inibiti, ma più esposti alla fragilità

Il professor Giovanni Baggio, 63 anni, valtellinese d’origine (è nato a Semogo, frazione del comune di Valdidentro), varesino d’adozione, è rettore dell’Istituto De Filippi di Varese dal 2006 e presidente nazionale dell’Aiart (Associazione italiana ascoltatori radio e televisione) dal 2018.

Terminati gli studi universitari ha dedicato la vita alla formazione scolastica a vari livelli, come testimonia il suo nutrito curriculum. Baccelliere della Facoltà Teologica di Milano, dirigente scolastico, master in Comunicazioni sociali, collaboratore con Università e centri culturali per master e corsi, docente del laboratorio su Tv e famiglia nel corso e-learning curato dall’Università Lateranense, da tre anni fa parte del Consiglio Nazionale Utenti presso Agicom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) per la quale coordina il tavolo Formazione con particolari competenze per il settore minori.

Proprio dalla formazione partiamo con la prima domanda dell’intervista che abbiamo realizzato nel suo studio di via L. Brambilla.

Professore, parlando di formazione, non possiamo prescindere oggi da ciò che rappresenta per uno studente (e non solo) il mondo digitale. Non ha l’impressione che sotto il profilo informatico molti allievi siano più competenti di tanti loro insegnanti?

«Le rispondo sinteticamente citando un paragrafo di “Galassia Zuckerberg. Vivere, insegnare e imparare nell’era digitale” (Mazzanti Libri), un volumetto scritto a quattro mani con il collega Marcello Soprani e destinato proprio ai nostri studenti. Lì osservavo che diversi dati scientifici ci parlano degli effetti della digitalizzazione sul cervello, che sembra essere cambiato, soprattutto quello dei più giovani. Citavo anche un articolo di “Panorama” del 4 Aprile 2016, in cui si sosteneva che i nativi digitali pensano diversamente rispetto alle generazioni precedenti. In particolare, sanno più cose, la loro modalità di ragionare è più libera da schemi e preconcetti, ma si dimostrano molto più fragili alle dipendenze».

Ecco, Professore, le dipendenze, di fatto, esplodono molto spesso in serie criticità che, in taluni casi, sfociano in quel disturbo, da dipendenza appunto, legato all’utilizzo intensivo e ossessivo di internet in varie forme, dalla navigazione sui social network alla visualizzazione di filmati, dal gioco online all’acquisto compulsivo, identificato dai medici con la sigla IAD (che è l’acronimo inglese di Internet Addiction Disorder).

«Guardi l’aspetto che un formatore attento persegue con determinazione è rendere i giovani consapevoli dell’uso della Rete. L’obiettivo non è inibire a loro la navigazione in internet, ma far comprendere che devono rendere fruttuoso il tempo passato quando aprono un programma nel Web. Soprattutto è fondamentale far percepire ai giovani che il virtuale è una piccola porzione esperienziale e che la vita non è bi, ma tri-dimensionale».

Passato il periodo degli entusiasmi per le mirabolanti opportunità offerte dal digitale, non crede che per un educatore, un formatore, sia giunto il momento di avvertirne i pericoli?

«Gli spazi aperti dalla digitalizzazione sono immensi e gli intenti comunicativi che essa offre sono positivi. Occorre però essere consapevoli che taluni strumenti non sono di per se stessi neutrali, soprattutto se la fonte che li origina e li maneggia agisce per vantaggi esclusivamente personali. Ai miei studenti ricordo sempre che l’uso della Rete non è affatto gratuito, perché ogni suo utilizzo è sonoramente pagato con la cessione dei loro dati, che spesso sono pure sensibili e ingenuamente forniti senza che se ne rendano conto. Un bel problema che riguarda almeno due miliardi di persone “sorvegliate” da Google & Company».

Professor Baggio, ha la sensazione che i suoi studenti e il pubblico che incontra afferrino la complessità del tema sotteso all’educazione e alla formazione nella cornice di un mondo sempre più digitalizzato? O meglio: ritiene che siano percepiti i rischi del mutamento antropologico in atto? Non crede che debbano essere posti limiti, anche giuridici, allo sviluppo digitale?

«Se lei allude all’IA (Intelligenza artificiale) le rispondo con quanto ho scritto nell’editoriale del prossimo numero della rivista dell’Aiart, “Il Telespettaore”, pubblicato sotto l’eloquente titolo: “Senza etica non c’è intelligenza (nemmeno artificiale)”. Ho trovato molto pertinente l’intervento di Papa Francesco al recente G7 perché è andato al nocciolo della questione. Riprendendo il suo pensiero ho osservato che l’IA è una grande opportunità, ma deve restare nei confini che la libertà e la responsabilità dell’essere umano devono essere capaci di costruire. Grande opportunità infatti può esserlo ed in parte lo è già, ma l’IA può trasformarsi in autonomia meccanica e priva di scrupoli se diventa la protagonista della guerra tra i popoli: una intelligenza senza ethos, senza umanità».

Il Papa, come i suoi recenti predecessori, pone spesso l’accento sulla questione etica, senza la quale l’umanità non può trovare né giustizia, né pace. Qui tornano gli interrogativi: hanno senso una scienza e una tecnologia non al servizio dell’uomo? Può progredire una umanità senza principi morali?

«Le rispondo non con le mie parole, ma con quelle del Papa, che ha richiamato all’esigenza di non rimuovere mai la questione etica, tra libertà e responsabilità: “Solo se sarà garantita la loro vocazione al servizio dell’umano, gli strumenti tecnologici riveleranno non solo la grandezza e la dignità unica dell’essere umano, ma anche il mandato che quest’ultimo ha ricevuto di coltivare e custodire il pianeta e tutti i suoi abitanti. Parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità, cioè vuol dire parlare di etica”».

Sulla via di casa, riflettendo sulla conversazione con il professor Baggio maturiamo sempre più il convincimento che essere educatore, formatore, sia, sì, una professione esaltante, ma oggi, molto più di ieri, tremendamente complicata e faticosa.

didascalia: Giovanni Baggio

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