Non ha sortito grande clamore nei media italiani (quelli del mainstream, che ancora persistono nell’inquinamento delle coscienze) la notizia che il premier canadese, Justin Trudeau, entro Marzo, si dimetterà. A comunicare tale decisione è stato lui stesso nel giorno dell’Epifania. L’uscita di scena del capo del governo canadese è un duro colpo per Klaus Schwab, promotore del Forum economico di Davos che ha dato origine al progetto globalista e alla connessa ideologia woke.
Trudeau, infatti, era uno degli alfieri di Schwab che ora deve registrare pure la sempre più irrilevante presenza nello scacchiere internazionale di un altro suo vessillifero, il francese Manuel Macron, così come traballanti affiorano le posizioni di altre due davosiane, Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea e Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea. Dimissionario è anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, un altro globalista che al suo giuramento, imitando il compagno di partito, il socialista Gerhard Schröder, non pronunciò le rituali parole della formula «e che Dio mi aiuti». A sua volta anche il laburista Keir Starmer, leader del governo britannico, non dorme sonni tranquilli da quando è scoppiata la polemica del suo coinvolgimento nell’insabbiare una serie di stupri compiuti da immigrati pakistani a danno di donne inglesi.
Biden e la sua vice Kamala Harris sono già passati nel dimenticatoio. A mano a mano che il tempo passa perde adepti la demoniaca nomenclatura dell’Agenda 2030, quella del governo mondiale di pochi eletti sostenuti dall’internazionale liberal progressista, mentre i due personaggi che più l’hanno contrastata, Putin e Trump, probabilmente insieme all’indiano Narendra Modi e al cinese Xi Jinping, appaiono avviati a riconfigurare gran parte del mondo dando vita ad un nuovo sistema multipolare.
È impossibile ipotizzare una seconda conferenza come quella tenutasi a Yalta in Crimea, nel Febbraio 1945, tra i tre grandi politici dell’epoca, Roosevelt, Churchill e Stalin? È impossibile immaginare, auspicare, oggi, una leale collaborazione tra grandi potenze come fecero quelle vincitrici della seconda guerra mondiale?
L’economista Maurizio Milano, autore del documentato libro “Il pifferaio di Davos: il Great Reset del capitalismo”, di cui raccomandiamo la lettura, ha recentemente scritto un articolo per “Alleanza cattolica” in cui spiega molto bene chi sia e da dove venga Justin Trudeau.
Condividendole, facciamo nostre le parole con cui conclude il suo testo. «Le forti reazioni in Canada – oggi come nei mesi scorsi in Germania, negli Stati Uniti, in Francia e probabilmente a breve anche nel Regno Unito – sono una speranza per la libertà, a dimostrazione che non esistono mai esiti obbligati.
Le pseudo élites globaliste e tecnocratiche stanno infatti incontrando reazioni e sconfitte un po’ ovunque. Le idee hanno conseguenze: le idee cattive producono frutti cattivi e presto o tardi la narrazione non basta più. Il vento sta cambiando in Occidente: l’ipnosi collettiva degli ultimi anni in cui l’iniziativa del “Great Reset” sembrava inarrestabile sta lasciando spazio a un “Great Awakening”, un grande risveglio.
La battaglia non è ancora vinta ma sempre più le le ideologie liberal e globaliste si stanno scontrando contro il principio di realtà. E la realtà, presto o tardi, vince sempre».
Persuasi che «le idee cattive producono frutti cattivi», ci sovviene l’insegnamento di don Giovanni Bosco, il santo della gioventù, il quale sosteneva che «il bene contagia il bene e il male contagia il male».