I dazi di Trump alla Cina per scongiurare un conflitto armato

Giovedì 10 Aprile, nel suo editoriale su “La Verità”, Maurizio Belpietro sosteneva, tra l’altro, che «la guerra commerciale scatenata da Trump mira a ridimensionare Pechino come potenza economica (ma anche politica e militare) e per riuscirci c’è un’unica strada, ovvero attaccare le esportazioni del Dragone, destabilizzando il Paese e dunque riducendo la possibilità che Xi Jinping decida di attaccare Taiwan per ricondurre Formosa sotto la propria egemonia».

È del tutto evidente che gli Stati Uniti si prodighino per indebolire la Cina prima che questa diventi un competitor troppo pericoloso. Lo scontro sui dazi è un primo passo verso l’indebolimento economico del Gigante cinese che è costretto a reagire non tanto per contendere la leadership mondiale agli Stati Uniti, almeno per ora, quanto per evitare guai seri al proprio interno.

Nel 2023 Pechino denunciava una popolazione di oltre 1 miliardo e 400 milioni di abitanti con poco più di 30 milioni di poveri, che si sarebbero ridotti di 19 milioni all’anno, dai 770 milioni del 1978 (dato dell’Ufficio per l’alleviamento della povertà del Consiglio di Stato) ai giorni nostri.

Di fatto il Paese è spaccato in due aree: quella orientale economicamente più avvantaggiata rispetto a quella occidentale e con un divario marcato tra i ceti urbani mediamente più ricchi nei confronti di quelli rurali.

La nomenclatura pechinese ha un problema serio: impedire che la popolazione meno abbiente si ribelli per ottenere lo stesso elevato standard di vita di cui gode, per ora, la parte minoritaria, stimata attorno a mezzo milione di persone.

Nessun Paese muoverà mai guerra alla Cina i cui vertici e apparati burocratici possono quindi temere esclusivamente un’implosione, una specie di guerra civile tra poveri delle zone rurali contro ricchi delle città.

La dirigenza di Pechino entra in crisi se non riesce a porre un freno alle disuguaglianze che sono evidenti all’interno della sua società. Per la propria stabilità il Gigante giallo ha bisogno di crescere economicamente.

Trump ha compreso che per frenare la concorrenza della Cina, temibile antagonista desiderosa di estendere il proprio potere sull’intero Pacifico, occorre minarne l’economia.

Con i soldi Pechino può permettersi tutto. Per gli Stati Uniti il Colosso asiatico, da avversario con cui dialogare per spartirsi il mondo, può trasformarsi in nemico giurato da cui difendersi fisicamente.

Oggi la marina cinese dispone di tre portaerei – Liaoning, Shandong e Fujian –, ma entro il 2030 intende raddoppiarne il numero. A che serve la potente flotta che Pechino sta allestendo se non per allargare il proprio dominio? La Gran Bretagna, a lungo potenza coloniale, insegna.

Un esercito può essere dotato delle più sofisticate armi e diventare aggressivo, ma se i soldati che lo compongono non mangiano, svengono.

Finché la Cina avrà risorse da investire in armi sarà tentata di mostrare i muscoli. Impresa per altro facilitata dal sistema totalitario che s’è data. L’intero Occidente deve stare in guardia e non sottovalutare le mire di Pechino. Gli Stati Uniti con Trump, checché se ne dica, sono un baluardo di difesa di quel modello di civiltà basato sulla libertà umana che è naturalmente nel cuore dell’uomo; modello grazie al quale l’Europa ha prosperato.

I dazi sono uno strumento per prevenire guai ben peggiori di quelli che potrebbero affliggere drammaticamente i nostri figli e nipoti qualora fossero costretti a fronteggiare lo strapotere della nomenclatura cinese.

Didascalia foto: immagine della Muraglia cinese (da wikipedia)

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